Pùblicu unu artìculu pigau dae su blog de Alessandro de Roma.
A nàrrere chi tenet resone est pagu ma beru. E sa cosa chi mi faghet pentzare de prus est chi sos ammentos suos ant fatu torrare sos meos. Si ddi est una cosa chi m'ammento de Nizza est su mercau, cun sos nuscos e sos colores suos.
Imparare, Imparare, Imparare.
S'artìculu de
Alessandro:
Una settimana di Sardegna sarebbe di per sè una cosa molto bella. Soprattutto se si è sardi e quindi tornare significa, non solo godere del mare e dei paesaggi, ma anche rivedere amici e luogi ai quali si è molto affezionati. Peccato solo che esista il fondamentalismo sardo a rendere agrodolci certi momenti.
Quello strano miscuglio di complesso di inferiorità e sciovinismo estremo che rende spesso i sardi del tutto immuni all’autocritica (e invece vulnerabili a qualunque abuso di potere di tipo coloniale). Fessi e contenti, per così dire.
Qualche esempio? In Sardegna si mangiano solo cose genuine, guai a dire il contrario. Guai a pensare che così non sia.
Peccato che in Sardegna sia difficile anche solo trovare uova di galline allevate a terra, o reparti di frutta e verdura con prodotti locali. La frutta e la verdura sono rigorosamente confezionate in scatole di plastica e/o polistirolo e di solito importate da luoghi lontani. Lavate a casa con cura (perché va bene che è tutto genuino, ma non si sa mai…) e mangiate poi in piatti di plastica (credo che la Sardegna sia il luogo al mondo in cui i piatti di plastica siano più utilizzati).
Così, nella corrotta e impura Costa Azzurra in cui abito, io mangio le zucchine e le cipolle del contadino che vende al mercato rionale di Saint Roch i prodotti del suo orto (e me li vende a un euro il chilo, ancora con la terra sopra), mentre in un qualunque paese dell’interno della Sardegna compro pesche spagnole, banane Del Monte e Ananas del Costarica, a prezzi impossibili: tutto già tagliato e sbucciato a migliaia di chilometri di distanza. A meno che non abbia la fortuna di avere una zia con l’orto. Cosa che però è sempre più rara e, ai turisti, di solito non capita: così che lasceranno l’isola pensando di essere stati a Los Angeles e non a Putzu Idu.
Perché smentirli? Ci piace che tornino a casa con la convinzione di essere stati a Los Angeles. Facciamo di tutto per costruirci quest’immagine. Ci piace pensare che Maracalagonis sia Los Angeles, perché ci pare di dover nascondere Maracalagonis al mondo. Anche se non ci sarebbe alcun motivo per doverla nascondere. Ma al tempo stesso desideriamo che chi ci ha visitati torni a casa dicendo: sai la Sardegna non è come me la immaginavo: è come Los Angeles. E, bizzarra pretesa, al tempo stesso il visitatore dovrebbe aggiungere: sì ti dico che è proprio come Los Angeles: una terra moderna e asettica, tecnologizzata, dove tutto è genuino, fatto come si usava una volta, la vita è sana, la gente semplice e onesta.
In Sardegna c’è un grande rispetto per l’ambiente. Dicono i sardi. Peccato doversene andare in giro per l’isola e vedere spazzatura ovunque e orribili case di orribili paesi mai finiti: regno incontrastato dell’occhio più grande della pancia che fa costruire case enormi, senza che nessuno si curi poi di finirle e tanto meno di abitarle.
Peccato che, nei paesi sardi, a pochi venga in mente di camminare a piedi, ma si prenda l’auto anche solo per andare a fare la spesa (magari al centro commerciale, a 30 chilometri di distanza).
Nessuno è ospitale come i sardi.
Peccato che i turisti vengano sempre trattati come cretini (raramente un sorriso, raramente un prezzo ragionevole). Peccato che capiti di pagare un parcheggio anche sei euro e cinquanta solo per un pomeriggio.
Lasciamo per favore che siano gli altri a dirci che siamo ospitali. Non diciamocelo sempre da soli. Impariamo ad ascoltare e a rispettare gli altri, invece di partire sempre dalla convinzione che chi approda da noi sia un povero infelice appena scappato dall’inferno e arrivato per grazia divina nella terra del latte e del miele, in cui tutti sono buoni e gentili. A Nizza le cassiere al supermercato mi sorridono e mi augurano buon giorno, a Cagliari, a Sassari, a Ghilarza, se indugio un po’ troppo alla casa c’è il rischio che mi caccino via a pedate. E dunque la nostra celebre ospitalità?
Una volta che mi è capitato di dire che tornavo a casa mia a Nizza mi si è riversata addosso una valanga di “non può essere casa tua un luogo dove la gente è così diversa da te”.
Io non uso piatti di plastica, mi piace sorridere, dico Buongiorno (anzi Bonjour) quando arrivo alla cassa del supermercato, vado a piedi ogni volta che posso e non butto la spazzatura in giro. Se avessi una casa, preferirei costruirmela più piccola ma finirla in ogni dettaglio anche perché non mi dia un pugno nell’occhio ogni volta che la vedo, in mezzo alle colline che ho appena contribuito a rendere meno belle, meno pulite, meno sarde. Da chi sono diverso dunque?
E siccome questo è un sito che parla solo di libri, o che parla attraverso i libri, consiglio a tutti la lettura di un libro bellissimo che dice molto meglio di me queste ed altre cose. “Sardignolo” di Alberto Mario DeLogu, Aneglica Editore. Un libro in Sardegna quasi sconosciuto e che invece dovrebbe essere letto molto di più: anche come antidoto alle solite zuccherose cantilene che ci piace raccontare su noi stessi, su quanto siamo bravi e gentili e migliori degli altri. Basta che nessuno muova una critica.
I sardi mi piaceranno di più quando smetteranno di mangiare nei piatti di plastica e di sentirsi migliori ( meno sardi?) per questo. E quando smetteranno anche di pensare che un sardo (in quanto sardo) non possa sentirsi a casa propria che in Sardegna.
Per fortuna invece il mondo è così grande e così ricco che ci si può sentire a casa propria contemporaneamente in un sacco di luoghi. Senza per forza doversi sentire un traditore o un martire che soffre le pene più atroci.
Che bello sentirsi un sardo nel mondo.