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lunedì 21 febbraio 2011

Cisàus su "La gazzetta del Sulcis"

Non lo avevo ancora fatto, lo faccio ora. Grazie a Alessandro Carta per questa bella recensione.




UNA SARDEGNA TRA VECCHIE E NUOVE REALTA’
NEL ROMANZO “CISAUS” DI TORE CUBEDDU


E’ una Sardegna carica di humus arcaico, in cui s’innestano le devianze del giorno d’oggi, a caratterizzare “Cisaus”, l’ultimo romanzo di Tore Cubeddu, edito per conto di “Transeuropa Edizioni”. Dentro la cornice paesana, che riedita una Sardegna ancora alle prese con le faide, si concentra la trama del libro che si sviluppa con un misto di parlate in limba o comunque con costrutti sardo-italiani. Teatro di gran parte di “Cisaus” è la piazza principale del paese Paberile, sulla quale si affaccia un bar (forse l’unico) assai frequentato soprattutto dai giovani amanti “di farsi una birra”. Ma il gran merito di Tore Cubeddu è originato dall’ampia descrizione di tradizioni e luoghi comuni della cultura e della vita dei paesi interni sardi, dove la sbronza, la droga, le auto sportive sono il substrato dei balentes locali. D’altro canto, sono sempre state poche le occasioni per diversificare il canovaccio della vita paesana: la festa del paese, l’annata agraria ben riuscita, una laurea e poc’altro. Al contrario, invece, gli elementi capaci di far rumore erano molti di più: il corteggiamento fuori ceto, il ricordo di una faida, la vendetta con la decapitazione della vigna o di animali, la decisione di uscire dal grigiore della quotidianità. Ai  giovani, cui mancavano elementi di stimolo, non restava che il bar fin dalla mattina, dove il consumo della birra scorreva di pari passo con il flusso sanguigno. “La piazzetta del bar era come una vedetta dell’antincendio. Era il nostro punto di osservazione. Da lì miravamo il mondo a cerchi concentrici e come il riverbero di un gong riuscivamo a coprire g r a n d i s s ime   d i s t a n za e   s e n z a  muoverci di un passo. L’appuntamento al bar Centrale era come un rito e la bevuta di birra quasi un’attività. E non dovevi mai rispondere che non facevi nulla perché bevevi, perché in effetti qualcosa la stavi combinando”...”Aggrappati al bancone del bar come a uno scoglio dopo il naufragio”. Anche le famiglie avevano una vita cadenzata, originata dagli eventi dalla vita più che dalla propria intraprendenza. Anche i benestanti godevano poco, né potevano fare a meno della collaborazione dei braccianti o servi pastori. “Dopo la morte di mio nonno anche   in  c a s a   ini z iò  a   t i r a r e un’altra aria, forse perché sia mia madre che mio padre erano diventati, finalmente genitori, a loro volta radice, indesideratamente.Ora erano loro i saggi e dovevano cercare in se stessi le risposte alle tante domande da figli che ancora si ponevano”. Una condizione di crescita che, in una società matri-patriarcale, poteva trovare spazio solo dopo il trapasso degli anziani. A Paberile questa era la regola, sia pure non scritta, ma ineluttabilmente vissuta da tutti. L’unica novità fu la creazione di una sorta di discoteca, mediante il recupero di un diroccato caseificio ubicato alla periferia del paese. Così nacque “Cisaus” dove i giovani avevano tentato di smorzare la propria vuota giornata. “Mezzo paese era venuto a vedere il prodigio di Cisaus: il caseificio diventato discoteca”. Questa rivoluzionaria iniziativa, attivata da un gruppo di giovani del paese, aveva scosso la vita piatta e tranquilla di Paberile, al punto d’aver suscitato l’attenzione dei sonnacchiosi “caramba” che colsero intorno al “Cisaus” un movimento strano di spaccio proveniente da fuori. Né andò bene a chi, giovane del paese, si adattò a lavorare nello scortecciamento delle sughere del vicino Lacos dove un giorno occorse un fattaccio che segnò la vita di loro. Tra questi, tuttavia, c’era  anche chi riusciva a uscire dalla mediocrità iscrivendosi all’Università in Filosofia. Questi,  Raimondo Flores, era un po l’equilibrio in persona, ma non sempre la sua compostezza lo immunizzava da spiacevoli conseguenze. Tore Cubeddu ha imbastito una storia, con “Cisaus”, che si srotola in maniera leggera, anche se la trama presenta aspetti talvolta drammatici, di quelli che la quotidianità presenta non solo più in Sardegna, in Sicilia o in Calabria, regioni notoriamente calde in fatto di faide. L’obiettivo di Tore Cubeddu, almeno leggendo tra le righe, sembra più indirizzarsi alla descrizione di ambienti paesani sardi, dove gli abitanti, più che protagonisti, sono sempre spettatori di ciò che accade. Sono ambienti fami l i a r i ,   compor t ament a l i   t r a giovani, linguaggi licenziosi, diffidenze incrociate, quasi assenza di voglia d’uscire dalla monotonia. “Farsi una birra” per i giovani è quasi un lavoro, perché scandito alla stessa ora del giorno.

http://www.gazzettadelsulcis.it/gazz_archivi/510.pdf

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